Melissa Damson

Artista Australiana, in arte Damson, da diversi anni lavora quasi esclusivamente nel suo studio in Italia. Con una laurea in Belle Arti alla James Cook University di Queensland, ha esposto i suoi lavori prima in Australia e poi in numerosi città in Italia. Nel 2009 ha partecipato alla Biennale di Venezia a Palazzo Zenobio, il padiglione degli Armeni, e nel 2013 ha esposto a Palazzo Sarcinelli a Conegliano (Treviso) in una mostra personale; sempre a Palazzo Sarcinelli, ha partecipato a una mostra collettiva ad aprile 2022. A giugno 2022 ha partecipato a una collettiva a Ca’ dei Carraresi a Treviso.

Testo critico ALESSANDRA SANTIN: L’artista annuncia la sua poetica a partire dalla scelta del proprio nome d’arte: DAMSON, il colore delle prugne selvatiche, il colore di un rossetto usato della madre. Il colore delle labbra e del sangue. Due elementi che mettono in campo fin da subito alcune tematiche del femminile: la relazione instabile, il fluido e la macchia, la dimensione emotiva e il tempo tondo. Emily Dickinson scrisse “Io ho a che fare con la circonferenza”, racchiudendo in questa frase molteplici significati, intendo che il pensiero e il fare femminile sono rotondi, avvolgenti, ciclici, fluidi, omnicomprensivi, universali. Damson propone una riflessione sulla femminilità sotto forma di ferita. In una realtà violenta, che scopre e denuda. Damson nasconde il corpo femminile evocandolo attraverso gli abiti che lo contengono. Tra tutti sceglie quelli più emblematici, gli abiti da sposa candidi. Ma il bianco purissimo è è violato dal tempo, ingiallito dal suo scorrere, macchiato di sangue. Ferito, villipeso. Umiliato. Questa volta per davvero nudo. Ogni opera dell’artista conserve le tracce evidenti della storia: reliquie, gocce, segni, polvere e luci, parole; ali e veli. Ogni opera è arcana, misterica, sacrale. Nascita e parto, sangue e latte si incontrano e si mescolano, vitali e indispensabili atti di fede. Il corpo della donna vive la fede, si nutre di essa, forma e genera il futuro.

Testo critico GIOVANNI COZZARIZZA – IL SANGUE DELLA VITA, DELLA SESSUALITÀ E DELL’AMORE: Il Sangue è una costante che misura la vita di una femmina, che deve “spargere” sangue durante le mestruazioni, per accedere ai piaceri dell’eros e per dare alla luce la sua prole. A volte ancora come vittima di violenze e stupri. L’ABITO BIANCO COME SIMBOLO DI SOTTOMISSIONE AL MASCHIO. L’artista elabora la sua denuncia impiegando l’uso di abiti nuziali – antichi, preziosi, finemente dettagliati – bianchi a richiamare un senso di verginale innocenza in modo tale che siano impregnati – in termini espliciti – del sangue della perdita della castità, come icona e simbolo potente della sottomissione all’uomo e della sua appropriazione rituale della sua verginità. Nonostante un linguaggio proposto in termini crudeli, il risultato estetico è comunque denso di raffinata bellezza, di dolente e tenera poesia. Si tratta di opere caratterizzate da grande misura, equilibrio, proporzione e senso del bello… da cui lo spettatore viene trasportato in un viaggio di tormento, insieme incantevole e travolgente…