DARIO MELLONE
a cura di Paolo Biscottini
Editore: Skira – Milano
Anno: 2003
Catalogo: rilegato in tela
Pagine: 240
Illustrazioni: 60 ill. e tavv. b/n, 180 ill. e tavv. col.
Dimensioni: cm 24×28
Il volume raccoglie i quadri realizzati dal 1965 al 1979 – figure nello spazio, figure biomorfe, le città del futuro, i mutanti, poliautoritratti, laboratori terapeutici – da Dario Mellone, per anni vignettista del Corriere della Sera. Mellone fu un disegnatore capace come pochi di rappresentare le variegate forme del reale, da quello drammatico della cronaca, a quello apparentemente immobile dell’architettura della città, scenario di una vita avvertita fortemente nel suo pulsare, fra il rombo dei motori e il rumore della gente, ma anche poeticamente sospesa fra i silenzi di angoli incontaminati, dove il cielo è come immobile e il tempo pare non scorrere.
Nel 1950 l’incontro con Dino Buzzati è destinato a imprimere una svolta decisiva nella vita del giovanissimo Dario Mellone, perché lo immette nel mondo del giornalismo. Al “Corriere della Sera” Mellone trascorrerà tutto l’arco della sua esistenza come disegnatore. Un’esperienza della quale poco si è detto, anche per una certa reticenza di Mellone stesso, che scindeva la propria attività artistica, sempre più sospinta nell’ambito del privato, da quella lavorativa, quasi fossero due mondi fra loro non comunicanti, mentre ci è oggi chiaro quanto l’uno sia debitore all’altro.
Va innanzi tutto riconosciuto che Mellone fu disegnatore grande, capace come pochi di rappresentare le variegate forme del reale, da quello drammatico della cronaca, a quello apparentemente immobile dell’architettura della città, scenario di una vita avvertita fortemente nel suo pulsare, fra il rombo dei motori e il rumore della gente, ma anche poeticamente sospesa fra i silenzi di angoli incontaminati, dove il cielo è come immobile e il tempo pare non scorrere. Ogni giorno Mellone è al “Corriere” e vive l’ansia delle rotative, avvertito come un ansimare della città stessa, che parla con la sua matita. I suoi vasti disegni sanno dar voce a Milano e riecheggiano sensazioni intense e talora tremende, che influiscono sul suo pensiero, quasi ossessionato dai ritmiimpossibili della metropoli.
Nella pittura quest’ansia non si placa, ma il tempo pare fermarsi, palesandosi anzi come un non tempo, nel quale, perse le forme brucianti del reale, ne resta il sapore acre e ferroso, l’immagine di ingranaggi che sono tanto della macchina quanto del cervello, e l’idea di un uomo condannato, cui forse solo l’arte può ridare quiete e risarcire un poco il tradimento della vita. L’ideologia nutre la poesia e questa plasma ogni cosa in una visione demiurgica dell’arte, in cui tutto si ricompone e trova un suo diritto di cittadinanza.